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Il mistero di quel telo e il suo messaggio di amore

Giovedì 11 giugno mi sono unito a una visita organizzata dai Cavalieri del lavoro alla Sacra Sindone esposta, come certo saprete, nella cattedrale di Torino.
È stata un’esperienza di indubbia suggestione. Anche se ora, in tutta franchezza, mi sarebbe difficile discernere tra la fascinazione proveniente dal santo lino e quella che, globalmente, la particolare situazione emanava: l’architettura e l’atmosfera del bel Duomo di San Giovanni Battista, l’incessante eppure silenzioso e ordinato sfilare della gente, la gentilezza dei volontari.

Credo tuttavia che sarebbe inutile cercare di fare distinzioni.
La Sindone, nel mondo cristiano, è la reliquia per eccellenza. Una testimonianza impressa da secoli nell’immaginario collettivo, e non solo in quello dei fedeli. Esiste, infatti, una tradizione secolare che la identifica con il telo funerario in cui è stato avvolto il corpo di Gesù dopo la sua morte. E come tale ha sempre suscitato le più diverse reazioni: commozione sincera, dubbio insistente, entusiasmo manifesto, pregiudizi favorevoli o contrari, negazioni.

Di fatto è un telo molto antico e, come accade per qualsiasi altro tessuto altrettanto antico, non è per niente facile ricostruirne l’origine, la storia, le possibili contaminazioni con altre fibre o differenti sostanze.

Mentre mi trovavo nel Duomo un altro visitatore, intento come me a osservare i particolari da vicino, mi ha chiesto se fossi davvero convinto che si trattasse proprio dell’impronta di Gesù.
La cosa lì per lì mi ha provocato un sussulto, perché ero immerso in quell’atmosfera sacra con tutti i sensi all’erta. In seguito la sua domanda mi ha suscitato perplessità, perché costituiva la conferma di come la mente prenda sempre il sopravvento su tutto, cercando perfino di scoprire l’infinito, cosa peraltro impossibile proprio per la natura della mente che è finita.
Ma poi quel signore non ha aspettato la mia risposta e, quasi parlando a se stesso, mi ha aggiornato sul dibattito scientifico riguardo alla datazione del sacro lino.
Pare sia iniziato nel 1898, con la produzione della prima fotografia della Sindone. Ed è ancora vivacemente in corso, fornendo di continuo ulteriori correzioni alla effettiva datazione radiocarbonica del tessuto.

Forse questa diatriba scientifica non si concluderà mai.
Sono convinto però che in fondo non sia così rilevante determinare l’autenticità della Sindone. Credo sia più importante “sentire” ciò che rimanda.
Tra il senso di mistero che emana e gli interrogativi sulle origini tuttora inesplicate dell’immagine, ciò che rimane intatta, a mio parere, è la necessità di capire fino in fondo la sua immensa forza simbolica e spirituale.

Gesù rappresenta, non solo per i fedeli, la figura storica di un Evento Cosmico straordinario che ci ha insegnato ad amare il prossimo come noi stessi e si è sacrificato, morendo in croce, per riscattare l’umanità dal male e dall’attaccamento alle cose materiali.
Il suo pensiero ha enormemente condizionato tutta la cultura occidentale. L’energia incommensurabile e trascinante della sua parola, la tragicità della sua parabola umana, l’infinita brutalità della sua morte, ruotano intorno alla semplice e profonda purezza del suo messaggio di amore, di pace e di fraternità.

Guardando la sacra Sindone non si può evitare di vedere chiaramente un corpo umano che è stato torturato in ogni sua parte, con ferite visibili sul polso sinistro, sui piedi e sul lato destro del petto.
Ecco allora che quel telo di lino racconta soprattutto, e in modo sorprendente, la Passione di Gesù Cristo, parola che rimanda al verbo latino patior, patire, soffrire.

Gesù è la forma umana che, soffrendo, offre se stesso per attirare l’umanità nell’amore di Dio.
Nel momento in cui accetta il suo percorso di evoluzione diventa il simbolo dell’amore incarnato. Da Gesù uomo, all’essere spirituale che il mondo cattolico indica quale figlio di Dio e chiama Cristo, dal greco Χριστός (Christòs), traduzione del termine ebraico מָשִׁיחַ (mašíaḥ), cioè “unto”, dal quale proviene l’italiano “messia”.
Allo stesso modo, il principe Siddhartha, rinunciando al trono per andare in cerca della verità, diventa il Buddha, “colui che si è risvegliato”.

In entrambi i casi abbiamo di fronte un esempio di metanoia, di profondo mutamento nel modo di pensare, di sentire, di giudicare le cose.
Entrambi ci mostrano un cammino di evoluzione percorso e possibile. Indicano quindi la possibilità dell’evoluzione per ognuno di noi.

La forza simbolica della Sacra Sindone è racchiusa in questo, e credo rimarrà per sempre inalterata, qualunque sia il risultato finale della ricerca scientifica.

Niccolò

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Giovanni Baldelli

    Caro Conte Niccolò Branca

    citando Roberto Benigni nel suo monologo sui 10 Comandamenti, penso che sia sbagliato cercare di capire Dio con la mente : è l’organo sbagliato, è come cercare di bere il caffè con le orecchie. Non si può “capire” e sentire Dio, il Divino, con la razionalità umana, lo si può capire e sentire con il Cuore, con i nostri Sentimenti, con la nostra coscienza.
    Solo così possiamo sentirci partecipi a Dio.
    Così la Sacra Sindone, che anch’io ho visto in occasione dell’ultima ostensione di qualche anno fa. Non importa sapere se quel corpo raffigurato sia effettivamente quello di Gesù Cristo, l’importante è “sentire” quello che quel corpo trasmette nel nostro cuore: sofferenza, amore, pietà di un Uomo che rappresenta tutti noi.

    Un caro saluto.

    Giovanni Baldelli

    1. Niccolò Branca

      Grazie, dott. Baldelli, per i segnali di attenzione e sostegno che invia sempre a questo blog.
      Un caro saluto anche a lei

      Niccolò Branca

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