Il mito che occorra solo premere il pedale di una spietata competitività per rendere un’azienda più produttiva, si sta sgretolando sotto il peso dei costi non sempre evidenti dietro a queste scelte imprenditoriali.
Il rapporto 2015 dell’American Psychological Association stima che lo stress sul posto di lavoro costa più di 500 miliardi di dollari all’economia degli Stati Uniti. E ogni anno vengono persi ben 550 milioni di giorni lavorativi, con l’80% delle visite mediche e il 60-80% degli infortuni sul lavoro, attribuiti allo stress.
A questa causa sono stati inoltre collegati problemi di salute che vanno dalla sindrome metabolica alle malattie cardiovascolari.
Ma non è tutto. Anna Nyberg, studiosa presso lo svedese Karolinska Institutet, l’importante università che seleziona i vincitori del Premio Nobel per la Medicina, ha condotto di recente uno studio su larga scala.
I risultati hanno mostrato un forte legame tra mancanza di coinvolgimento al lavoro e rischi per la salute.
Infatti, se un ambiente altamente competitivo e autoritario può garantire l’impegno e l’interesse dei dipendenti per un certo periodo di tempo, la ricerca suggerisce che lo stress inevitabilmente creato porterà, nel lungo periodo, alla mancanza di coinvolgimento.
Ogni persona, infatti, associa strettamente l’impegno e la motivazione nel lavoro alla sensazione di essere valutata, sostenuta e rispettata.
E la mancanza di impegno dei dipendenti è sempre estremamente onerosa per un’azienda. Secondo due diversi studi della Queens School of Business e dalla Gallup Organization, tra i lavoratori meno motivati si verifica il 37% in più di assenteismo, il 49% in più di incidenti, e il 60% in più di errori. Complessivamente, le organizzazioni coinvolte hanno preso atto del 16% in meno di redditività e sperimentato una produttività più bassa del 18%.
Per queste ragioni, nel tentativo di rendere il posto di lavoro più piacevole e coinvolgente, molte aziende hanno provato anche ad adottare una vasta gamma di espedienti che vanno dall’orario flessibile, alla palestra in ufficio, alla possibilità di lavorare da casa.
Tuttavia un altro sondaggio Gallup ha dimostrato che i dipendenti danno generalmente più valore al benessere sul posto di lavoro che ai benefici materiali.
Il benessere però, dice la prestigiosa Harvard Business Review, può provenire da un unico luogo: una cultura di lavoro positiva.
Perché quando si crea una tale cultura aziendale, migliorano anche le performance finanziarie, la soddisfazione dei clienti, la produttività, e il coinvolgimento di chi in quell’azienda lavora.
Credo tuttavia che un atteggiamento positivo nasca a livello individuale, dalla consapevolezza di ogni singola persona. Perché è dalla consapevolezza che nasce il coraggio di ascoltare la propria coscienza e di decidere come vogliamo veramente essere.
Senza consapevolezza invece, saremmo tutti soggetti ai venti del cambiamento o alle mutate condizioni della cultura aziendale.
L’idea di essere in competizione, ad esempio, spesso ci elettrizza. Mentre al contrario sottovalutiamo il valore profondo della cooperazione.
Accade perché vorremmo costantemente mettere in evidenza il nostro sapere, la nostra competenza, la nostra esperienza, il nostro Ego. Vorremmo far conoscere il buon risultato delle nostre azioni personali, senza dover condividere il merito con altri. Vorremmo emergere individualmente.
Eppure in un’azienda la capacità di sostenere l’obiettivo comune da raggiungere, in moltissime situazioni conta molto di più della bravura individuale.
Non c’è dubbio: il lavoro di squadra incoraggia la cooperazione al servizio degli obiettivi aziendali prefissati, anziché la competizione fra gli individui.
Tuttavia sono convinto che qualunque sia il nostro ruolo, in un’azienda o nella vita, se sapremo diventare team player, se sapremo cioè fare squadra con chi abbiamo vicino, non solo trasformeremo il nostro in un gruppo vincente, ma ne trarremo anche un beneficio personale. In breve tempo, diventeremo persone più motivate, più entusiaste, meno ansiose, più coraggiose nell’esprimere il nostro pensiero, più capaci di accogliere le opinioni altrui, anche quando contrastano con le nostre.
Far parte di un team, infatti, ci aiuta a capire il valore del gruppo, della lealtà, della responsabilità e dell’etica. Ci fa desiderare di essere accettati e degni di stima, e quindi ci stimola a dare sempre il meglio di noi, perché ciò avvenga.
Ci insegna come diventare abili a sostenere le nostre tesi, ma anche ad accettare che siano messe in discussione, senza per questo far nascere conflitti insanabili.
Ci insegna a concentrarci sul valore del noi anziché su quello dell’io. Ci insegna a contribuire con i nostri valori al successo dell’impresa comune. Ci insegna a capire meglio, e a fare veramente nostro, il profondo concetto di interdipendenza.
Così il lavoro diventa fonte di motivazione, creatività, soddisfazione e crescita personale. Ma, oserei dire, anche di felicità.
Perché è bello, ed è indubbiamente fonte di energia, sapere di essere sempre sostenuti da un gruppo nei nostri sforzi quotidiani e di poter contare sull’apporto di idee e di risorse che deriva dal gruppo stesso.
Ci fa sentire più sicuri di noi stessi, più aperti verso le diversità, più forti e più produttivi, non solo nel lavoro, ma in ogni aspetto della vita.
Niccolò
Che dire …….. parole e concetti semplici, efficaci e totalmente condivisibili. Bisognerebbe farne un “manifesto” culturale e politico. Bisognerebbe che interpretassimo l’efficienza e la produttività come conseguenze del benessere psicofisico di ognuno. Aveva ragione Robert Kennedy quando diceva che il PIL di una nazione non ne misura il grado di benessere e di felicità.
Caro Conte divulghi il Suo pensiero in tutti i contesti in cui Lei ha la possibilità di intervenire affinché la Sua voce possa diventare un coro forte ed armonioso.
Una caro saluto.
Giovanni
Caro Giovanni,
la ringrazio molto per le sue entusiaste parole di approvazione.
Credo tuttavia che nella divulgazione di un pensiero, a cui pure aderiamo profondamente, dovremmo sempre avere un’attitudine taoista. Dovremmo cioè seminare con pazienza senza aspettarci nulla.
E’ vero però che tanti segnali indicano una crescente attenzione a queste tematiche. Inoltre sono sempre di più le persone che capiscono che la felicità di ognuno di noi è legata a una felicità comune.
Speriamo sempre di più nella diffusione di questo umanesimo integrato.
Un caro saluto
Niccolò
Sono commossa da tanta chiarezza. Grazie
Grazie a te, cara Clelia, per avere letto così prontamente l’articolo e, soprattutto, per avermi comunicato la tua impressione.
Un caro saluto
Niccolò