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Quelli che restano nella via vecchia solo per paura di quella nuova

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  • Categoria dell'articolo:Medit-azioni

Perché così tante persone tendono a compiere scelte abitudinarie invece di sperimentare nuove soluzioni? Una ricerca dell’Università Bocconi, pubblicata sull’American Economic Review, definisce questo atteggiamento come “avversione all’ambiguità”.
Le persone – spiegano i ricercatori – preferiscono fare scelte che comportano rischi conosciuti. Per esempio, preferiscono investire in una tecnologia già adottata che in una nuova, anche se sanno che la prima è efficace solo al 50% .
Maggiore è l’avversione all’ambiguità, maggiore l’insistenza a ripetere vecchie scelte e la riluttanza a sperimentarne nuove.

L’articolo completo (Self-Confirming Equilibrium and Model Uncertainty) è certamente più complesso, fa riferimento anche all’Equilibrio di Nash, per chi di voi avesse già familiarità con la Teoria dei Giochi. Tuttavia, l’idea proposta porta a riflessioni molto concrete e adattabili alla vita di ogni giorno.

L’avversione all’ambiguità, per esempio, spiega piuttosto bene anche l’immobilismo della politica economica. “I politici vedono solo i rischi associati alle politiche già adottate”, dice Pierpaolo Battigalli, uno dei ricercatori “mentre i rischi associati alle politiche non ancora in uso restano non conosciuti. Se i politici sono avversi all’ambiguità, o vogliono essere rieletti da elettori che sono avversi all’ambiguità, tenderanno ad avere un approccio piuttosto conservatore”.

Pensiamo allora anche al peso che il timore del nuovo e dell’ignoto può costituire nelle nostre storie personali, affettive, professionali.
Conosco troppe persone che pur avendo capito quali sono i loro veri bisogni, non si danno la libertà e il potere di accettarsi, di riconoscere il proprio valore e di aprire così la propria vita a nuove prospettive.

Il timore di cambiare, di evolvere, di acquisire altre abilità e competenze, di intraprendere percorsi inediti di crescita e di consapevolezza, porta solo a un blocco dello slancio vitale, a una paralisi dell’esistenza.
I condizionamenti culturali ci fanno sopravvalutare – e ancora di più per l’incertezza che da tempo caratterizza il mondo in cui viviamo – concetti come sicurezza e stabilità. Tuttavia, non di rado queste parole sono unicamente associabili a credenze e indottrinamenti obsoleti, che finiscono solo col produrre esseri umani frustrati, inappagati. Esseri umani sicuramente e stabilmente infelici.

Ma ecco che, proprio quando la routine blocca la dinamicità, oscura l’orizzonte, nega il contatto con il proprio Sé trascendente, può scattare un automatismo interiore, un daimon, come lo chiamava Socrate.
Una sorta di meccanismo salvavita che ci mette in guardia e ci fa guardare con lucidità ciò che stiamo facendo: abbiamo interrotto il nostro cammino esplorativo, la ricerca delle nostre coordinate valoriali, il contatto vero con il nostro Sé più profondo e autentico.
Allora, fortunatamente, “entriamo in crisi”.

Dico “fortunatamente” perché la crisi è, prima di tutto, un prezioso strumento di maturità e consapevolezza interiore. Questo, se bene utilizzato, può rappresentare una splendida apertura verso nuove tappe della vita.
Al contrario, nella nostra cultura tendenzialmente conservatrice, poco tollerante verso i cambiamenti sociali e personali, spesso vengono associate suggestioni semantiche negative a parole come crisi, rischio, sfida. Anche questo contribuisce a rafforzare nelle nostre menti lo spauracchio riguardo a un possibile cambiamento.

Impariamo invece ad accogliere la crisi come l’inizio di un caos vitale, dinamico e rigenerante. Un nuovo orizzonte concettuale in cui il rischio e la sfida possono essere soltanto concetti coraggiosi, gioiosi ed elettrizzanti.
Un modo per guardare senza paura al proprio cammino e assumerci quel senso di auto-responsabilità che, per ognuno di noi, deve coincidere col senso di una vita pienamente vissuta.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Maria Serra

    Buongiorno Niccolò,
    grazie per la sua risposta. Sì, il Design Thinking “nasce” negli Sati Uniti o meglio è lì che è stato codificato e sistematizzato come metodologia dalla d.school di Stanford e dai designer dell’agenzia IDEO, che l’hanno poi introdotto per la prima volta nel mondo Corporate così come in tanti altri ambiti tra cui, ad esempio, l’Education.
    E’ una vera e propria strategia di innovazione, che parte da un approccio “human-centered” incentrato sui bisogni delle persone e che, come ben dice lei, coniuga creatività e logica. Ora si sta iniziando a introdurlo anche in Italia, io personalmente ci credo moltissimo e sto cercando di diffonderlo!
    Sarà un piacere incontrarla e avere l’opportunità di discuterne insieme, mi contatti pure in privato quando le è più comodo, resto a disposizione e attenderò con pazienza un suo cenno. Grazie e buon lavoro!
    Un caro saluto anche a lei,
    Maria

  2. Maria Serra

    Interessante! Grazie per la condivisione di questo articolo e per la prospettiva di lettura che offre. Mi occupo di innovazione design-driven e utilizzo un approccio chiamato Design Thinking in cui la tolleranza all’ambiguità è un mindset centrale. E’ ciò che ci permette di sperimentare e avere fiducia in un processo creativo anche se non sappiamo esattamente dove ci porterà. E’ uno degli atteggiamenti mentali più difficile da trasferire e “insegnare” proprio perché, come dice lei, i condizionamenti culturali ci fanno sopravvalutare concetti come “sicurezza” e “stabilità”. Mi piacerebbe approfondire questi temi con lei perché credo che il suo punto di vista vada abbastanza in controtendenza con la cultura imprenditoriale italiana attuale, forse appunto eccessivamente soffocata dalla propria paura di soccombere alla “crisi”.

    1. Niccolò Branca

      Cara Maria,
      è molto interessante il legame che ha descritto tra Design Thinking e tolleranza all’ambiguità. In effetti, il processo creativo richiede sicuramente la capacità di accettare quei sentimenti di ansia e quelle situazioni psicologicamente non confortevoli che in genere provoca tutto ciò che è nuovo, sconosciuto, difficoltoso.

      Devo dire però che sin ora ho sentito accennare al Design Thinking soprattutto negli Stati Uniti.
      Sono contento di sentire che anche in Italia si sta considerando questo approccio, che mi pare caratterizzato da creatività e logica, e potrebbe apportare nuova conoscenza in materia di innovazione d’impresa.

      Sarà un piacere incontrarla. Le chiedo solo di avere pazienza per un’attesa al momento poco quantificabile ma che potrebbe anche protrarsi a lungo.
      A breve le farò scrivere in privato per stabilire un contatto.
      Un caro saluto

      Niccolò

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